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Il punto di partenza per un’avventura incredibile

Ricordo molto bene il momento in cui sono per la prima volta venuta a conoscenza del progetto di “Science et voile avec Gaia”: era un venerdì mattina e, come ogni settimana, mi trovavo al politecnico di Zurigo per svolgere un laboratorio pratico di Biologia. Stranamente ero in anticipo, e ho quindi deciso di sedermi vicino ad una splendida vasca d’acqua per controllare le e-mail: è stato in quel momento che ho letto la newsletter degli Alumni che menzionava la possibilità che avevamo di partire con Thierry e Barbara.

Inutile dire come sia trascorsa la mattinata in laboratorio: fra provette, microscopi e, soprattutto, tante domande nella testa. Non riuscivo a non pensare a quel progetto, eppure al contempo mi chiedevo se mai avrei avuto il coraggio di salpare per un’avventura così fuori dalla mia zona di comfort. Una volta tornata a casa, e nelle settimane successive, ho continuato a riflettere se presentare o meno la mia candidatura, sino al momento in cui sono finalmente riuscita ad essere onesta con me stessa: tentare era per me troppo importante, non avrei mai voluto rimanere con il rimorso di non averlo fatto. Dopo aver inoltrato il mio dossier, preparato con minuziosa attenzione per i dettagli, ho sostenuto un colloquio Skype con Thierry e Barbara: penso che sia stato uno dei pochi momenti in cui ho apprezzato che il colloquio non si svolgesse dal vivo, siccome altrimenti non sarei mai riuscita a nascondere il tremolio delle mie mani e della mia voce dovuti all’agitazione, nonostante i miei interlocutori cercassero di mettermi a mio agio in ogni modo.

Ricordo di ciò che ho detto a mio fratello poco dopo aver terminato quella chiamata: “penso che fino a questo momento non mi fossi mai resa conto di quanto sia importante per me questo progetto”. Ho atteso alcune settimane fino a che un pomeriggio ho ricevuto la chiamata di Thierry il quale mi informava che avevano scelto me per partecipare e che sarei effettivamente partita a bordo di Gaia. Ricordo quel momento con un grande sorriso: la scelta di Thierry e Barbara mi ha lasciata senza parole e credo di aver impiegato parecchio tempo a realizzare che forse, questa volta, era davvero valsa la pena di non tirarsi indietro e tentare.

 

 

Eccoci, pronti per la partenza, ma il coraggio occupa molto spazio in valigia?

Dopo aver interiorizzato la notizia, e aver controllato nel registro del mio cellulare che effettivamente la chiamata con Thierry fosse avvenuta sul serio, ho cominciato a pensare a cosa avrei avuto bisogno per il mio viaggio: il clima sarebbe stato rigido, la natura severa e la mia esperienza con i voli che richiedevano più scali metteva come chiara regola base quella di non avere nessun altro bagaglio se non quello a mano. Sin da piccoli, mia madre ci aveva sempre educato all’indipendenza: potevamo portare in vacanza tutto ciò che saremmo riusciti a portare da soli. In questo caso forse avrei aggiunto un piccolo dettaglio: avrei potuto portare tutto ciò che sarei riuscita a caricarmi in spalla, senza destare in nessun assistente aeroportuale il dubbio di voler controllare se le dimensioni reali del mio bagaglio fossero in linea con quelle stabilite dalla compagnia.

Per fortuna, un breve colloquio con Thierry e l’esperienza di un campeggio di due settimane in Canada con bagaglio ristretto, si sono rivelate fondamentali: sono riuscita a preparare un bagaglio tecnico che non lasciava assolutamente spazio al superfluo e, alla fine, sono fiera di poter affermare che per la prima volta nella mia vita ho utilizzato davvero tutto ciò che era partito con me.

 

Il colore: punto di incontro fra scienza, comunicazione e poesia

La mattina della mia partenza la sveglia è suonata molto presto, ma inutile dire che i miei occhi stavano già fissando il soffitto bianco da un tempo indeterminabile. Mi sono preparata ed ho indossato il mio abbigliamento pesante, decisamente inadeguato rispetto al clima torrido di fine giugno a Zurigo. D’altronde non avevo altre possibilità: un must per i bagagli leggeri è indossare tutto ciò di più ingombrante che non riesci a far entrare in valigia. Arrivata all’aeroporto, alle 05.30, mi sentivo disorientata. A causa della pandemia era molto che non mi recavo in un aeroporto, si trattava del primo volo dopo tanto tempo, e questo aveva fatto sì che la mia efficienza ai controlli di sicurezza si fosse un po’ arrugginita.

In quel momento non ho potuto che pensare alla scena del film “Fra le nuvole”, nel quale il protagonista (George Clooney) elenca tutte le categorie di persone da evitare categoricamente se non si desidera trascorrere un’eternità in coda. Quel pensiero mi ha fatta sorridere, forse sarebbe stato necessario creare una nuova categoria per descrivere me: scienziata un po’ impacciata ed emozionata. Eppure, per fortuna, tutto ha funzionato e in men che non si dica mi trovavo davanti al check-in, pronta per l’imbarco. A quel punto, guardando dalla finestra, il mio sguardo è stato catturato da uno spettacolo cromatico: un meraviglioso arcobaleno. In quel momento non ho potuto non pensare che fosse perfettamente in tema e che si trattasse di un buon auspicio per la partenza di un viaggio in cui avrei parlato della teoria del colore.

 

Il mio progetto di ricerca: quali sono i fenomeni fisici alla base del colore?

Ciò che mi aveva permesso di essere selezionata per partire in compagnia di Thierry e Barbara a bordo di Gaia era stata la proposta di lavoro di ricerca che avevo presentato nella candidatura: volevo svolgere una ricerca sul tema del colore nella scienza e nella comunicazione scientifica e indagare quale fosse la spiegazione che si celava dietro ad alcuni fenomeni che mostravano all’occhio dell’osservatore la realtà a colori. Siamo così abituati a vedere il mondo a colori e lasciarci stupire da quest’ultimi, ma spesso tralasciamo il lato scientifico: quale è il fenomeno che genera quel colore? La mia idea era nata guardando le foto del cosmo pubblicate dalle più note associazioni a livello mondiale: il cielo mostrava una tavolozza di colori brillanti davvero notevole, quasi fantasmagorica: un’esplosione di tonalità che avrebbe lasciato senza parole chiunque la guardasse.

Eppure, vista la mia passione per lo studio del cielo, sapevo che quei colori in realtà non erano “reali”. Il cielo non appariva così colorato, si trattava di filtri che venivano applicati per dare indicazioni rispetto a quali elementi chimici componessero quell’oggetto celeste, e di conseguenza ne lasciavano intravvedere, ad occhi esperti, le proprietà e i processi che vi stavano avvenendo. In quel caso i colori permettevano una comunicazione muta, senza bisogno di linguaggio, che utilizzava unicamente il canale della vista. I colori divenivano così veri e propri veicoli d’informazione. Eppure, questa informazione, era accessibile solo a pochi: a coloro che avevano la possibilità di interpretarla e studiare il cielo e conoscerne le proprietà. Si tratta dunque di un messaggio veicolato a un piccolo gruppo, mentre la maggior parte delle persone resta convinta che si tratti dei colori che sarebbe effettivamente possibile osservare nel cosmo, il quale, nell’immaginario collettivo, è quindi erroneamente inteso come un luogo dai colori sgargianti.

Ho un ricordo vivido del momento in cui ho compreso che in realtà l’universo non era a colori al contrario di come lo avevo sempre immaginato. Inizialmente ho provato un grande disappunto, come nel momento in cui scoprii che, grazie ad alcune teorie contemporanee della fisica, il tempo, considerato uno dei valori base nella nostra società, in realtà non esiste. Alcuni anni dopo però, grazie alla possibilità di approfondire i miei studi scientifici, ho potuto comprendere quale fosse il vero significato che si celava dietro i colori del cosmo, riaccendendo la magia dentro di me. I colori permettevano di capire, a chi li guardava, quali elementi componessero il corpo osservato e quali fenomeni vi stavano avvenendo. Per questo motivo ho deciso di proporre proprio questo tema di ricerca: desideravo poter dimostrare a un pubblico più vasto che i fenomeni che si celano dietro alla colorazione delle cose, una volta compresi, possono far aumentare la meraviglia che proviamo osservando ciò che ci circonda. Alcuni anni prima avevo avuto la fortuna di visitare l’Islanda e rimanere affascinata dalle sue tonalità: la terra del fuoco e del ghiaccio, degli opposti, anche cromatici. Ero dunque curiosa di scoprire quali contrasti la natura e i paesaggi delle Faer Øer potessero riservarmi.

 

Non ci si imbarca mai da soli, ed è proprio questa la parte migliore

 

Il viaggio a bordo di Gaia mi ha insegnato tanto riguardo alle relazioni con le persone e a quanto uno scambio di opinioni possa essere prezioso. Sono partita per le Faer Øer da sola, zaino in spalla, tanta felicità e un pizzico, piuttosto abbondante, d’incoscienza. Ma senza nessuno al mio fianco. Per via delle restrizioni imposte dalla pandemia non mi era stato possibile organizzare un incontro di persona con Thierry e Barbara prima della loro partenza per la prima tappa scozzese del loro viaggio.

Eravamo quindi degli estranei che si accingevano a trascorrere dieci giorni su una barca di quindici metri: si trattava di un esperimento con diverse variabili, le quali avrebbero potuto facilmente far vacillare il risultato dell’esperienza. Eppure, soprattutto dopo quasi due anni trascorsi senza la possibilità di rapportarci con gli altri in modo diretto e naturale, questa esperienza mi ha portato tantissimo, facendomi capire ancora una volta quanto sia prezioso lo scambio con l’altro.

Durante il mio soggiorno a bordo di Gaia ho potuto conoscere personalità diverse fra loro, con una storia unica e tanta esperienza alle spalle. Thierry, per esempio, noto professore di astrofisica e attivo nella comunicazione scientifica a livello internazionale, del quale durante questi giorni a bordo ho potuto conoscere un aspetto differente: un uomo attento ai dettagli, con un umorismo marcato e tagliente, che comunica tanto senza bisogno di parlare, e dallo sguardo intenso, quasi come se capisse anche ciò che tu pensi di non far trasparire.

Come lui ho potuto fare conoscenza di Yves, Barbare, Jacques, Philippe e Boogie, persone con trascorsi unici e con le quali sono grata per aver avuto la possibilità di comunicare e condividere le mie idee. Un ricordo che rimarrà vivido nella mia memoria sono infatti le serate passate a bordo a discutere dei temi più disparati: abbiamo riso e scherzato, ma ci siamo anche confrontati su temi importanti, dubbi, punti di vista differenti riguardo alle esperienze che il nostro viaggio ci stava regalando e sulle mie incertezze, sicuramente alimentate dalla mia giovane età, riguardo alla vita che mi aspetta.

 

A volte vale la pena uscire dalla propria zona di comfort

Trovarsi dall’altra parte del mondo con persone che non avevo mai conosciuto prima mi ha messa sicuramente alla prova: sono dovuta uscire dalla mia zona di comfort e questa è una sensazione che durante il mio percorso con Scienza e gioventù ho provato più volte. Ricordo ancora la finale del Concorso nazionale a Rapperswil: nel momento in cui dovevo salire sul palco ho temuto di non farcela. Allo stesso modo, nel momento in cui stavo partendo per quest’avventura, ho avuto il timore che mi fossi imbarcata in qualcosa di più grande di me. Ci vuole un pizzico d’incoscienza per affrontare queste situazioni, eppure durante il mio percorso con Scienza e gioventù ho sempre avuto la sensazione che i miei sforzi venissero ricompensati.

Questo viaggio mi ha permesso di mettermi alla prova, di scoprire nuovi aspetti della mia persona e di restarne stupita. C’è stato un momento che sono certa non dimenticherò mai, siccome ha avuto per me un significato molto profondo. Durante la prima navigazione, sicuramente a causa dell’agitazione e del mare mosso, sono stata davvero male. In quell’istante ho provato grande disappunto e mi sono arrabbiata tanto con me stessa: mi sono sentita inadeguata, non all’altezza della grande opportunità che mi era stata data. Eppure, proprio quando mi sentivo tanto fragile, Thierry e Barbara si sono presi cura di me in modo così genuino da riuscire a farmi sentire protetta nonostante mi trovassi nel mezzo del Mare del Nord, apparentemente da sola.

Quel momento mi ha fatto comprendere tanto, insegnandomi che a volte, anche quando qualcosa non va, possiamo farci aiutare dagli altri senza vergognarcene. Il mio timore era che durante ogni navigazione sarebbe accaduto lo stesso, eppure non è stato così: da quel momento in poi non ho mai più sofferto il mal di mare e al contrario, ho avuto la possibilità di provare a condurre la barca sotto lo sguardo attento del comandante Thierry. Questo aneddoto mi ha insegnato che a volte è necessario avere fiducia in se stessi e in coloro che ci circondano, che accettare un aiuto non è qualcosa di cui vergognarci ma magari il primo passo verso la risalita. Ho conservato un piccolo ricordo di quel pomeriggio, una mollettina azzurra che mentre non mi sentivo bene Barbara ha messo fra i miei capelli, l’ho tenuta perché vorrei ricordarmi che a volte è necessario avere fiducia, che non perché una navigazione è stata difficile lo saranno per forza anche tutte le altre.

Come mi ha detto Yves durante la nostra ultima cena prima della mia partenza, il mio viaggio a bordo di Gaia è stata una bella metafora delle avventure che ci apprestiamo a vivere nella nostra vita: non sappiamo cosa ci riserva il futuro, come io non sapevo come sarebbe stato imbarcarmi su una barca a vela nel Mare del Nord, eppure quando abbiamo il coraggio di salpare troviamo dentro di noi risorse che non pensavamo neppure di avere, e alla fine dell’avventura siamo grati per avere avuto il coraggio di viverla.

 

 

Le isole Faer Øer, un luogo autenticamente speciale

Le isole Faer Øer sono un luogo la cui memoria rimarrà sempre impressa nel mio cuore: non è possibile dimenticare i loro panorami mozzafiato. Le scogliere rocciose contro cui le onde si infrangono formando una schiuma bianca creano un contrasto meraviglioso con le montagne dai verdi accessi e il blu del male profondo. Una terra silenziosa, priva delle frivole comodità a cui ormai siamo abituati, una terra che ho percepito come autentica. Qui le persone sono perennemente portate a ricordare che non vi è possibilità di opporsi alla natura, che è necessario adottare un modo per vivere secondo i suoi ritmi. Il fenomeno del sole di mezzanotte, per esempio, la perenne presenza della luce durante i mesi estivi e la loro completa assenza durante quelli invernali, ci induce a riflettere su quanto la natura possa influenzare la nostra esistenza.

In questa occasione non ho potuto che ricordare il testo di Giacomo Leopardi, uno dei miei autori preferiti, intitolato “Discorso fra la Natura e l’Islandese”. In questo senso questa avventura mi ha ricordato, dopo quasi due anni ferma, cosa significhi viaggiare e quale sia la sostanziale differenza rispetto al solo spostarsi. Alle Isole Faer Øer non ho potuto solo ammirare luoghi splendidi ma anche provare alcuni cibi che non avevo mai assaggiato prima e parlare con gli abitanti del posto.

Mi ricorderò sempre il vecchio signore che ho incontrato appena giunta al porto di  Tórshavn, vedendomi persa e disorientata si è subito avvicinato e mi ha chiesto se cercassi qualcuno, dopo aver brevemente spiegato che stavo attendendo l’equipaggio con cui avrei viaggiato mi ha guardata e con occhi gentili mi ha sorriso aggiungendo: “sei molto fortunata a venire qui, ti trovi nel posto più bello della Terra, qui si vive tranquillamente e questo mi ha sempre reso un uomo felice”, da quel momento ho subito compreso che quel luogo mi avrebbe lasciato molto. C’è una citazione di Jonah Lehrer che recita: “We travel because we need to, because distance and difference are the secret tonic of creativity. When we get home, home is still the same. But something in our mind has been changed, and that changes everything”, non potrei spiegare meglio l’effetto che questo luogo ha avuto su di me.

 

Non si finisce mai di mettersi alla prova

Durante un viaggio in barca naturalmente non possono mancare tanti imprevisti, eppure l’importante è non perdersi mai d’animo. In questa occasione ho imparato che, anche se non hai mai visto una pompa dell’acqua di una barca a vela, potresti trovarti a doverla smontare, sostituire i pezzi, e rimontare da capo con tanta pazienza, un vero lavoro di squadra e un po’ di sudore sulla fronte. Ma alla fine è possibile risolvere il problema e ricavarne una grande soddisfazione. Questa situazione è stata per me esemplare perché mi ha mostrato come, quando siamo costretti a trovare una soluzione, il nostro ingegno si attivi al fine di trovare alternative.

Durante il mio soggiorno a bordo di Gaia ho montato un giubbotto salvagente con GPS incorporato, imparato a consultare le previsioni meteo per segnare una rotta su di una mappa marittima, stretto viti, sistemato assi di legno per fare in modo di evitare la frizione fra la barca e il pontile, e tentato di imparare i nodi più importanti, quest’ultima missione con scarso successo. Tutte cose che mai, alla mia partenza, avrei pensato di affrontare, eppure nel momento in cui l’ho fatto, mi hanno dato grande soddisfazione e hanno nutrito la mia curiosità e il mio intelletto. Ed ho potuto farlo perché mi trovavo in una situazione privilegiata: ero circondata da persone che assecondavano il mio desiderio d’imparare, dandomi la possibilità di apprendere dalla loro esperienza e dalla loro pazienza.

 

“Così in questa immensità s’annega il pensier mio”

L’sperienza a bordo di Gaia mi ha permesso di comprendere che non serve sempre sentirsi pronti a affrontare qualcosa, ogni tanto è necessario solo lasciarsi trasportare ed essere autenticamente se stessi: se a guidarci è la nostra passione, come nel mio caso quella per la scienza e la comunicazione scientifica, dobbiamo essere fiduciosi. In questo senso tengo a ringraziare ancora una volta Thierry e Barbara, per aver avuto fiducia in me nonostante non mi avessero mai conosciuta, permettendomi così di vivere un’esperienza che occuperà sempre un posto speciale nella mia memoria. Ricorderò per sempre una delle nostre navigazioni: il cielo era blu, la vela spiegata e il sole batteva forte illuminando l’erba verde. Attorno a noi piccoli paesi con le case colorate sorgevano in piccole conche e cascate possenti cadevano per metri. Lì, attorniata da tanta bellezza, mi sono sentita profondamente in pace.

 

La ricerca scientifica come l’amore: non si misura in termini economici

Prima di concludere vorrei portarvi a riflettere riguardo a un breve scambio di battute che mi ha colpita profondamente. Ci trovavamo all’istituto di oceanografia di Tórshavn, il giorno successivo il mio arrivo, per assistere ad un meeting virtuale per la presentazione del rapporto conclusivo di una ricerca sostenuta dal EASAC   intitolata “A sea of change: Europe’s future in the Atlantic realm” (https://easac.eu/publications/details/a-sea-of-change-europes-future-in-the-atlantic-realm/) la quale si prefiggeva di proporre soluzioni per gestire le risorse oceaniche in modo più sostenibile, creando normative fondate sulla base di dati scientifici, come la Blue Economy e il Green Deal Initiative. Al termine di questa conferenza Thierry e Boogy, primo oceanografo delle Faer Øer, intenti a scambiare le loro opinioni, si sono soffermati a discutere sulla domanda se proteggere gli oceani fosse “economicamente conveniente o meno”. A questo proposito entrambi gli scienziati concordarono che il punto fondamentale della questione non andasse assolutamente ricercato nel beneficio economico, aggiungendo: “a volte nella scienza è necessario perseguire dei fini ultimi indipendentemente che questi portino o meno un guadagno monetario, siccome il valore intrinseco di queste azioni risiede in un’altra scala di valori, che non è possibile monetizzare”.

I due scienziati concludono dunque sorridendo: “Questa domanda non andrebbe neppure posta, a volte la scienza deve perseguire dei fini più alti, senza preoccuparsi del mero guadagno. È come se qualcuno ti chiedesse se innamorarsi è conveniente. La risposta logica da un punto di vista economico sarebbe sicuramente negativa, eppure lo facciamo comunque, perché nessuno sarebbe così pazzo da rinunciare all’amore per un beneficio economico”. Ecco, questa frase mi ha fatto molto riflettere, trovo che, per far sì che la ricerca scientifica continui a perseguire obiettivi nobili, preservando il suo spirito di scoperta disinteressata, sia necessario che si riesca a definire una scala di valori che non ponga le sue basi su interessi prettamente economici. Tutti noi auspichiamo di avere la possibilità di innamorarci nella nostra vita e sarebbe un vero peccato reprimere questo naturale desiderio in quanto “non economicamente conveniente”.

Allo stesso modo trovo che sarebbe un vero peccato non ampliare alcuni ambiti di ricerca precludendo scoperte che potrebbero giovare al mondo solo perché non economicamente convenienti. La scienza, ai suoi inizi, è nata libera da ogni interesse economico: coloro che filosofavano, con poche eccezioni, non erano retribuiti per questa attività. Credo che, nonostante la scienza moderna abbia implicazioni socioeconomiche evidenti che indirizzano la ricerca, sia fondamentale ristabilire una scala di valori, in modo da non perdere di vista ciò che porta beneficio all’umanità. Forse innamorarsi non farà bene al nostro conto in banca, eppure ci rende profondamente felici.